EXETER – HARLEQUINS: L’ANALISI

Alzi la mano chi, senza essere uno strenuo tifoso degli Harlequins di Londra, ha immaginato a gennaio, dopo il licenziamento di Paul Gustard, Head of Rugby degli allora settimi in classifica Quins, questo epilogo.

Invece, contro ogni pronostico, quel momento è stato l’inizio di una lunga cavalcata a risalire la classifica, fino a una semifinale pazzesca vinta contro Bristol ai supplementari e alla finale forse più bella degli ultimi 20 anni di Premiership, dove i campioni in carica di Exeter e gli underdog quasi padroni di casa hanno terminato la partita con due soli punti di differenza sul tabellone, ma qualcosa in più sul campo da gioco.

DUE PIANI DI GIOCO E DUE FILOSOFIE

I campioni in carica sono rimasti fedeli al loro classico stile di gioco, fatto da mischia pesante, difesa solida e utilizzo costante di quel fenomeno che risponde al nome di Sam Simmonds, giocatore che sta già rivoluzionando il ruolo avvicinando molto la figura del numero 8 a quella del centro. Per quanto riguarda i trequarti, il fratello Joe – ormai stabile conferma tra i 10 inglesi – ha il compito di dettare il ritmo a Devoto e Slade, giocatori molto rapidi ma, cosa che può rivelarsi un limite, simili tra loro per caratteristiche tecniche e fisiche. Nel triangolo allargato, nè l’esperienza di Nowell prima né l’esplosività di Hogg poi sono riuscite a dare il meglio, cedendo più di uno spazio all’attacco Quins.

Dall’altra parte troviamo una mischia compatta e potente, guidata dalla fisicità dell’ottimo sudafricano Louw e da un Joe Marler fantastico, leggenda del club e punto saldo per esperienza e carisma. Una mediana di altissimo livello composta da Care e Smith, entrambi in stato di grazia per tutta la durata della stagione; le sorprese ormai non più tali Dombrandt, Lynagh e Green, ottimamente integrati coi due centri – diversissimi tra loro e, di conseguenza, capaci di ottime variabili – Marchant ed Esterhuizen.

Un mix di esperienza ed esuberanza, velocità e potenza che, se amalgamati a dovere, portano a grandi risultati e ad azioni complesse, difficili da contrastare.

Da subito il piano di gioco dei Quins è stato evidente: contrastare i Chief non sulla fisicità ma sulla velocità, sia in attacco che in difesa. Nel primo caso, utilizzando molto i trequarti sfruttando i passaggi dietro la schiena del primo pod pesante, lasciando grande autonomia a Smith di orchestrare al meglio il gruppo grazie alle sua immense qualità tecniche, alla sua grinta e al suo dinamismo. Nel secondo, effettuando placcaggi aggressivi e aggredendo la ruck con rapidità, così da conquistare il punto d’incontro o recuperare calci di punizione e turnover.

Nelle prime tre clip di seguito si nota come, sia da prima fase da touche che da azione in mezzo al campo, il pallone venga consegnato da Care al primo pod, che finge l’ingresso e muove il pallone verso Smith che smista per l’accorrente Green.

Qui la combinazione Care – Marler – Smith – Green

Ottimo anche il sostegno del giovane Lynagh che si fa trovare pronto a seguire la linea di corsa dell’estremo e, specialmente nel terzo esempio, a ricevere palla all’interno.

Come accennato in precedenza, la strategia difensiva si è basata su una linea solida ma, soprattutto, su un’esplosività di seconde linee e centri sempre reattivi nel placcaggio e nella contesa del punto d’incontro.

Nel primo video viene in messa in luce l’aggressività della difesa londinese, grazie alla quale un calcio leggermente troppo lungo di Care ma abbastanza alto da permettere la salita difensiva si trasforma in un mismatch tra le due difese con perdita di terreno da parte di Exeter, alla fine costretta a calciare a sua volta. Particolarmente notevole il lavoro di Esterhuizen, autore di due placcaggi in rapida successione.

Nel secondo esempio mettiamo in evidenza una buona linea di difesa da parte dei Quins e la prontezza di riflessi del solito Esterhuizen nel turnover, conseguenza di una scelta oggettivamente sbagliata da parte di Exeter: un buon movimento di palla porta a una superiorità numerica sul lato destro del campo, con Cowan-Dickie all’ala completamente ignorato da un Cuthbert non abbastanza veloce da superare Murley.

Turnover visto non solo in fase di difesa ma anche in attacco: nella terza clip vediamo un attacco sul versante sinistro di Murley che si sbarazza del pallone prima di essere placcato fuori dal campo, ma il pronto placcaggio di Marchant e la prontezza di riflessi di Green e Care ad aggredire il punto d’incontro puniscono la lentezza del sostegno dei Chiefs.

Atteggiamento poco aggressivo e a tratti svogliato da parte di buona parte del 15 di Exeter, la cui prestazione si è limitata a una sorta di “compitino” senza particolare aggressività. Le qualità individuali e un gioco rodato hanno comunque portato dei risultati, ma non hanno permesso ai Chiefs di imporre il loro gioco nelle fasi a loro favorevoli, mantenendo la partita sui binari dell’equilibrio. La prestazione sottotono di Jonny Hill, ottima seconda linea, capace di ottime prestazioni a livello internazionale che gli sono valse la chiamata in Sudafrica di Gatland, può essere un buon esempio dell’attitudine generale della squadra della Cornovaglia.

Una scarsa concentrazione iniziale e una comunicazione non perfetta con il suo pilone Williams lo portano leggermente fuori posizione sull’attacco di Marcus Smith dopo appena 33 secondi di gioco, permettendo all’apertura avversaria il primo break della partita.

L’entrata in campo sottotono viene evidenziata inoltre dall’impacciato rientro nella linea, quando incespica su un compagno di squadra e, molto lento nel rialzarsi, si ritrova in fuorigioco sulla linea di passaggio di Care.

Ben più grave, cinque minuti dopo, è il suo errore durante una touche lanciata dagli Harlequins. Dopo un salto impreciso che lo porta fuori posizione rispetto alla maul che si genera dal drive, Hill cerca di fermare l’avanzamento entrando lateralmente e facendo crollare il raggruppamento sulla linea di meta. Inevitabili la meta tecnica e il cartellino giallo.

Dopo un primo tempo poco incisivo, il gioco semplice di Exeter ha finalmente mostrato i muscoli, dando l’impressione di aver finalmente svoltato il momentum della partita, complice l’inevitabile attimo di stanchezza accusato dalla retroguardia dei Quins.

Nel primo esempio, Hill decide di farsi perdonare, aiutando il quasi inarrestabile Sam Simmonds a rimanere in piedi dopo un primo placcaggio, permettendogli di lanciarsi verso la linea di meta dove Smith non può nulla contro il numero 8 nero.

Successivamente, un’ottima combinazione ravvicinata tra Joe Simmonds e Cowan Dickie crea una frattura nella linea, con un rapido offload di ritorno all’apertura che si invola verso la linea dei 22 m, dove con un’ottima fissazione impegna l’estremo Green – e con un po’ di malizia ostacola il ritorno di Smith alla sua destra – in favore dell’accorrente Devoto che va agevolmente in meta.

Gioco semplice che si ripropone sul finire della partita, quando lo stesso movimento porta Kirsten a indovinare il canale di corsa, scaricando all’ultimo il pallone su Hogg, liberandolo dal ritorno di Green e permettendo a Exeter di accorciare – inutilmente – il distacco.

MARCUS SMITH, L’APERTURA PERFETTA PER LE ROSES?

Dopo un finale di stagione e una partita sontuosa, un paio di domande sorgono spontanee:

Marcus Smith è la migliore apertura a disposizione del roster inglese? E soprattutto, Eddie Jones ha perso il suo tocco magico, avendo ignorato soprattutto nell’ultimo anno, un giocatore di tale statura? La risposta, come al solito, è sempre la stessa: dipende.

Le capacità di Smith sono evidenti a chiunque e la finale è stata una grande dimostrazione dell’incredibile potenziale a disposizione del ventiduenne di origini filippine: un giocatore universale, efficace in entrambe le fasi, che non ha paura di placcare e con un estro fuori dal comune. Tutte qualità messe in bella mostra durante la finale come, ad esempio, il piede decisamente educato che ha permesso grandi avanzamenti alla sua touche.

Oppure, il bellissimo assist per la meta di Dombrandt, che vedremo più avanti, conseguenza della repentina decisione di cambiare il senso di gioco in base al posizionamento del suo diretto avversario.

Passando alla fase difensiva, il risultato non cambia. I 4 placcaggi in 40 secondi ne sono una prova chiara.

Quindi, il giocatore perfetto? Ovviamente no. La giovane età, il genio e la conseguente sregolatezza fanno di Marcus un giocatore – per fortuna – ancora acerbo dal punto di vista della gestione dell’adrenalina. Il cartellino giallo rimediato in maniera quasi incomprensibile – un’entrata laterale in ruck partendo da posizione di fuorigioco,  conseguente guardia lasciata incustodita al lato del raggruppamento e meta di Exeter proprio in quel punto – dimostrano che da questo punto di vista ci sia ancora da lavorare un po’.

Inoltre, lo stile di gioco stesso di Smith lo rende un’apertura difficile da integrare in piani di gioco diversamente strutturati: la presenza di Danny Care, metronomo esplosivo dalle oltre 300 partite giocate, gli permette di svariare il fronte d’attacco con una buona libertà di pensiero e fantasia e provare il break, lasciando l’attacco senza playmaker nella fase successiva e, di conseguenza, rendendo l’azione prevedibile. Infine, nel piano di gioco adottato stabilmente da Eddie Jones e osservato durante gli anni, la mediana Youngs – Ford è inquadrata in uno schema rigoroso dove le decisioni vengono prese collettivamente dal gruppo di leadership di cui Owen Farrell è il simbolo riconosciuto. Poco spazio alla fantasia esuberante con la maglia delle Roses, insomma.

LA PAZIENZA è LA VIRTù dei forti

Non solo Marcus Smith, dicevamo. La vittoria della finale è stata una vera prova di quanto l’organizzazione e la pazienza siano armi fondamentali per ogni piano di gioco ben studiato e chiudiamo questa lunga analisi con tre esempi di quanto questa mentalità sia vincente.

La meta al 37esimo nasce da una mischia vinta dai Quins sui 5 metri, nella quale Danny Care recupera il pallone e attacca la linea, impegnando due avversari e creando superiorità numerica al largo. I difensori vanno a schierarsi in quella direzione, ma il senso viene cambiato quasi subito, costringendo la difesa dei Chiefs a riposizionarsi sulla linea e permettendo a Louw di entrare, al secondo tentativo, grazie all’aiuto del compagno di squadra Symons.

Schema identico in occasione della seconda meta a tempo scaduto, dove sempre da mischia Care utilizza lo stesso movimento visto in precedenza per occupare tre difensori – sfruttando l’aiuto dei pali che non permettono una difesa compatta – cambiando ancora senso di gioco per Smith che, notando la frattura creata nella linea di difesa, lancia Dombrandt per la più comoda delle segnature.

Il terzo e ultimo video dimostra come l’intelligenza della mediana dei londinesi e la capacità di adattamento dell’intero XV di Millard abbia portato al massimo risultato.
Tutto nasce dall’infortunio al quadricipite di Cuthbert, ala di Exeter, che costringe il triangolo allargato a gestirsi con due soli vertici. Accortisi dell’accaduto, i Quins decidono di sfruttare l’effettiva inferiorità numerica con i precisi box kick di Care a impegnare il lato destro del campo, non permettendo così all’altra ala O’Flaherty di coprire il lato sinistro.
Exeter recupera il pallone ma se ne sbarazza male con un calcio molto alto in mezzo al campo che facilita il lavoro agli avversari, permettendo nella fase successiva a Smith di spostare a sinistra il pallone con un calcio e far correre Nowell – ora nel doppio ruolo di ala ed estremo.

L’azione prosegue con cambi di senso e calci a scavalcare finchè Green non decide di rompere gli indugi attaccando la linea con l’ottimo sostegno del compagno di reparto Lynagh, rompendo la difesa dei Chiefs e dando la possibilità a Smith di calciare, finalmente, il pallone a sinistra, zona rimasta scoperta, dove la difesa prova con un estremo ma inutile tentativo a scongiurare la meta.

Che dire, gran lavoro Quins!