È una storia sbagliata

Una storia “da dimenticare”, “da non raccontare”, “sconclusionata” e potremmo continuare a citarla tutta, o quasi, quella canzone di Faber. Ma qui non si parla della morte di Pier Paolo Pasolini o Wilma Montesi, come nelle intenzioni del grande cantautore. Parliamo del nostro movimento e, soprattutto, della voglia che ci sta rimanendo di seguire la Nazionale.

È una sensazione strana, brutta. Impotenza e rassegnazione che diventano rabbia, delusione, scoramento. Sentimenti che all’inizio bruciano, si raffreddano poco dopo nelle espressioni dei ragazzi e le nostre emozioni, alla fine, diventano fossili nelle interviste post- partita, dove si cerca di guardare a quanto sia pieno il bicchiere senza chiedersi se, effettivamente, quel bicchiere esista.

Una notte un po’ concitata

E siamo pure partiti bene nella prima mezz’ora, con quella meta di Canna dietro bella iniziativa di Garbisi che ci ha illuso che la Francia avesse anticipato il Natale facendoci, stasera, un piccolo regalo. L’accordo tra la LNF (Ligue Nationale de Rugby, che organizza i due massimi campionati francesi) e la FFR (l’organo di governo del rugby nazionale transalpino) di non superare le 3 convocazioni per giocatore in nazionale durante questo torneo autunnale ha costretto Galthié a scegliere una compagine di seconde e terze scelte, decisamente inesperte ma dalla qualità indiscussa. Noi, infortuni pesanti di Polledri e Negri a parte, abbiamo schierato la formazione tipo.

Peccato per la meta di Danty, poi trasformata da Jalibert, ottima apertura di Bordeaux che sarebbe, senza problemi, titolare fisso in altre nazionali. Primo tempo sotto di cinque, ma siamo in partita, ci siamo, ci crediamo. Ci abbiamo creduto e, forse, questo è stato l’errore più ingenuo.

È una storia un po’ sputtanata

Nel secondo tempo, molto semplicemente, abbiamo smesso di giocare.

Strategia forse rivedibile, visti il risultato e la voglia che questi giovani galletti avevano di fare bene e mettersi in mostra per le prossime rassegne internazionali. Continua il periodo no di Violi, forse sacrificabile prima del 67’ – minuto dell’entrata in campo del giovane Varney – e di Bigi, sottotono e stasera leader poco incisivo – la scelta di andare in touche invece di provare a mettere in cascina 3 punti alla fine del primo tempo difficilmente avrebbe cambiato le sorti del match, ma è stata comunque scellerata.

Il piano di gioco era chiaro e, dopo le prime due ripetizioni, facilmente prevedibile. Calciate, ragazzi, calciate appena potete. Senza contendere, il più delle volte, il possesso in fase aerea. 

Una strategia molto rischiosa, che richiede una precisione chirurgica nell’esecuzione del calcio per essere attuata efficacemente e contenere i galletti in determinate zone del campo. Calci imprecisi, poca convinzione nella riconquista, Francia che guadagna costantemente campo e possesso e, come se non bastasse, una decisione francamente discutibile – che tuttavia non può giustificare in nessun modo l’attitudine mostrata durante tutto il secondo tempo – di un Nigel Owens probabilmente troppo severo che decide di mostrare a Trulla il cartellino giallo per un presunto avanti volontario. La meta immediatamente successiva di Villiere è stata, nonostante l’uomo in meno, umiliante per prontezza di riflessi e prestanza fisica, un coltello caldo nel burro della nostra linea difensiva che ha sciolto completamente ciò che di buono era rimasto, trasformando il desiderio di vittoria nella speranza di una sconfitta onorevole. Altra speranza vana.

Cinque minuti dopo Serin e dopo altri due Thomas fanno presente che, comunque, stasera sono presenti giocatori di livello internazionale, non determinanti ma comunque presenti sul referto finale. L’ultimo quarto d’ora è un’agonia, per noi ma sicuramente per i ragazzi in campo che, siamo sicuri, non dimenticheranno facilmente questa serata. La meta finale di Macalou, flanker in forza allo Stade del compianto e indimenticabile Dominici – al cui indelebile e affettuoso ricordo sono dedicate partita e vittoria con bonus – cancella le buone intenzioni, comunque riscontrabili, di Lamaro e Stoian e mette la parola fine alla partita e, soprattutto, alla considerazione che, forse, qualcosa stesse cambiando per noi.

Merci, Domi.

I vertici federali traggano le loro conclusioni, per una volta guardando in faccia la realtà.

L’onestà intellettuale non è mai un vestito comodo, ma dev’essere un vestito pulito.

Chiudiamo come concludeva, questa canzone, De Andrè.
Il modo migliore di descrivere il nostro stato d’animo, la rassegnazione che ci perseguita e il poco ottimismo per il futuro.

Non ci chiedere più com’è andata,
tanto lo sai che è una storia sbagliata.