C’era una volta il Munster

Quando il treno spunta dalla collina, con rumore di ferraglia, un inconfondibile fischio e il meraviglioso tema finale – scritto dal genio assoluto di Ennio Morricone e consegnato alla storia dalla voce di Edda dell’Orso –  Armonica torna a scrutare l’orizzonte per l’ultima volta, in attesa che quel mondo western fatto di uomini, duelli e pistole ceda infine il passo a un progresso ormai inevitabile.

Un cast stellare, colonna sonora indimenticabile, location perfette, trama e significati, scene memorabili.
Non basta una sola di queste componenti a trasformare un film in un capolavoro. È la somma di tutti questi fattori peculiari a creare la ricetta vincente.

La trama

Nel rugby è esattamente la stessa cosa.
La provincia di Munster rappresenta senza dubbio un’opera prima.
E le analogie tra i rossi d’Irlanda e la pellicola girata da Sergio Leone sono più numerose di quanto si creda.

La franchigia di Munster viene fondata nel lontano 1879 come rappresentativa di alcuni club locali, desiderosi di confrontarsi con squadre delle altre tre province irlandesi, Leinster, Ulster e Connacht in ordine cronologico di fondazione. Storicamente, i giocatori provengono dai tre principali club di Limerick – Shannon Rugby, Garryowen RFC e Young Munster – ma non mancano rinforzi da altre cittadine come Cork, Kerry e Tipperary.

Più che dagli scontri interprovinciali, l’era amatoriale è stata scandita da sfide contro le nazionali dell’Emisfero Sud in tour nelle isole britanniche.
Prestigiose testimonianze sono le 8 sfide totali contro gli All Blacks, tra cui la prima svoltasi nel lontano 1905 e la storica vittoria del 1978 – unica affermazione irlandese contro i neozelandesi fino al 17 novembre 2018 – e il successo per 11-8 contro l’Australia nel 1967.
In entrambe le partite spunta il nome di Tom Kiernan, estremo irlandese vecchia scuola, giocatore contro i Wallabies e guida tecnica contro i Blacks . Nel rugby il caso ha sempre avuto poco spazio.

Il cast

Old school, good school, dicono al di là della Manica.

Nel passaggio dall’età amatoriale al professionismo, una cosa è rimasta invariata dalle parti di Limerick.
La mentalità, tipica del rugby amatoriale, che costringe a dare tutto, ogni volta che si scende in campo, partita o allenamento poco cambia.
La voglia e la passione di rappresentare la città, di giocare per gli amici e i vicini di casa.
L’idea che indossare quella maglia rossa sia la cosa più importante della vita.

L’anima della squadra era composta da uno zoccolo duro di giocatori che hanno segnato la storia del club e hanno dato esempio e imprinting alle nuove generazioni. Nomi storici come Mick Galwey, Peter “Claw” Clohessy e il fratello Des, e il compianto Anthony Foley.

La predisposizione al gioco duro tipico dell’epoca, senza compromessi  a volte anche oltre il consentito, è stato trasmesso da questa “vecchia guardia” a un nutrito gruppo di giocatori che, negli anni a cavallo del nuovo millennio, entravano a far parte della seniores di Munster.

Nomi che ancora oggi trasmettono una grande emozione: Ronan O’Gara, Paul O’Connell, David Wallace, Donnacha O’Callaghan, Alan Quinlan, Peter Stringer, John Hayes, Jerry Flannery, Marcus Horan, John Kelly, Denis Leamy, Frankie Sheahan, Mick O’Driscoll.

Gli aneddoti, ovviamente, non mancano.

I racconti dei diretti interessati parlano di sessioni di allenamento massacranti, in cui il livello di competitività toccava vette altissime.
La voglia di dare il massimo per guadagnarsi la maglia da titolare, per dimostrare di poter stare a quel livello era benzina per tutti i giocatori. Combustibile indispensabile ma facilmente infiammabile, specie se maneggiata insieme a tensione e adrenalina fuori scala.
Spesso le sessioni terminavano in risse generali, specialmente tra gli avanti, e gli allenatori non nascondevano certo la loro soddisfazione nel vedere quanto lo spirito combattivo e la voglia di non fare mai un passo indietro, neanche in allenamento, fossero ben presenti.

Addirittura, capitava fossero gli stessi allenatori a mettere zizzania tra i giocatori, così da provocare gli scontri. Come scritto poco sopra, old school, good school.

Alan Quinlan, anima di quella squadra, racconta alcuni aneddoti che riassumono bene lo spirito dell’epoca e le persone che formavano l’ambiente Munster.

Il primo riguarda un episodio avvenuto durante l’allenamento della driving maul da rimessa laterale.
Le due linee si schierano, titolari contro riserve ovviamente; lancio del tallonatore e blocco di salto.
Formata la maul, inizia la spinta dei due pack e Niall O’Donovan – allora allenatore degli avanti – senza essere visto si avvicina alla maul, tira due pugni e se ne va, come se niente fosse.
Il finale è ovvio. Scazzottata in stile Bud Spencer, con i due fratelli Clohessy a darsele di santa ragione sotto lo sguardo di O’Donovan che commenta “Jesus, this is great!”

Un altro aneddoto raccontato dall’ex terza linea riguarda ancora Peter Clohessy che durante un allenamento, apparentemente senza motivo, fa stamping (altri tempi signori miei) proprio su Quinlan, il quale, dopo aver fatto notare a Claw di essere nella stessa squadra, riceve come risposta: “Take your shoeing like a man”.

Racconti del genere fanno pensare a un’atmosfera incandescente, quasi invivibile.
Invece no. Al termine dell’allenamento, come racconta Peter Stringer, era consuetudine fare cerchio tutti insieme, i litiganti facevano pace con baci e abbracci davanti a tutti, e le animosità restavano confinate sul campo da gioco.

Poi, come da tradizione, una birra al pub (anche più d’una) metteva tutto a posto.

L’organizzazione è tutto

Ci ripetiamo. Non basta un grande cast per fare un grande film, ma è sicuramente una buona base di partenza.

Un altro aspetto fondamentale era l’organizzazione del lavoro e una dedizione al lavoro, il famoso work rate, fuori dal comune.

Quel Munster era una squadra incredibilmente in forma.
Giocatori come David Wallace, Donnacha O’Callaghan e Jerry Flannery erano i primi a dettare gli standard fisici, ai quali i propri compagni si dovevano adattare per restare al passo, e ad alzare l’asticella.
Paul O’Connell racconta bene la severità di alcune sessioni di allenamento e come queste fossero alla base delle loro prestazioni: “To break them, we had to nearly break ourselves”.

Altro tassello fondamentale è stato, nel corso degli anni, l’ingaggio di giocatori stranieri.
Pochi ma buoni innesti, che hanno permesso di alzare il livello generale della squadra e colmato alcune lacune. Nomi come Rua Tipoli, Lifemi Mafi e Trevor Halstead in grado di dare solidità difensiva e concreto supporto in attacco; Paul Warwick, emblema del moderno utility back, entrato nel cuore del pubblico di Limerick e tenuto in grande considerazione da compagni e allenatori per predisposizione al lavoro e conoscenza di gioco, e soprattutto Doug Howlett, record di mete con la maglia All Blacks e giocatore tenuto in altissima considerazione dai propri compagni per l’attitudine al lavoro e la conoscenza del gioco a livelli così alti da stupire persino un professore come Ronan O’Gara.

Lo stile di gioco era, infine, il vero marchio di fabbrica della Red Army. Un gioco brutale, espresso dai primi 8 uomini capaci di dominare i pack avversari nelle fasi statiche e nel gioco aperto. Una sinfonia tambureggiante guidata dai passaggi di Peter Stringer e dal piede magico di Ronan O’Gara, amato dai suoi compagni per la capacità di mettere la squadra sempre sul piede avanzante. Forse uno stile di gioco poco “spettacolare” (parola che vuol dire tutto e niente) ma terribilmente efficace, capace di demolire pezzo per pezzo la resistenza avversaria.

Tutto ciò ha portato Munster a diventare una delle maggiori forze del rugby europeo tra la fine degli anni 90 e la prima decade del 2000, vincendo due Heineken Cup in quattro finali – nel 2006 e nel 2008 – e vincendo 3 titoli dell’allora Celtic League.

La location

Come ogni grande squadra che si rispetti, Munster ha alcuni tratti distintivi che la caratterizzano.

Il primo è sicuramente lo stadio: il Thomond Park di Limerick. Un impianto da 26500 posti, che nel corso degli anni è diventato una vera e propria fortezza da 76 vittorie e 5 sconfitte (la prima nel 2007 contro i Leicester Tigers) in 81 partite di Coppa giocate a Limerick.

Una casa resa unica da un pubblico totalmente e religiosamente devoto a questo sport.
Non a caso, il motto della squadra recita “To the brave and faithful nothing is impossible”.
La tifoseria è una delle più appassionate e competenti comunità di tutto il panorama rugbistico, capace di intimorire avversari e arbitri con tifo e canzoni cantate a squarciagola.
“Fields of Athenry” e “Stand up and fight” per citarne un paio, ma a Thomond Park anche quel silenzio, assordante e irreale, che cala a ogni calcio piazzato è capace, più di mille tamburi e urla,  di incutere una totale soggezione.

Una razza vecchia?

Armonica: Così alla fine hai scoperto di non essere un uomo d’affari.

Frank: Solo un uomo!

Armonica: Una razza vecchia. Verranno altri Morton… e la faranno sparire.

Attraverso il dialogo tra Charles Bronson e Henry Fonda, ci rendiamo conto di essere sempre più vicini alla resa dei conti e davanti a una grande verità. Il tempo passa per tutti e ogni epoca d’oro, prima o poi, comincia ad assumere i bordi di una vecchia foto.

Per Munster, la regola è stata la stessa.
L’evoluzione del rugby in uno sport più rapido e automatizzato, la crescente necessità di capitali per competere con le squadre inglesi e francesi e l’inevitabile ricambio generazionale hanno causato un lieve ma evidente declino a partire dal 2011.

Col passare degli anni, i chiodi nello spogliatoio a cui appendere gli scarpini si sono fatti molto numerosi e le nuove generazioni, con dovute eccezioni, non sono riuscite a colmare completamente il vuoto lasciato dalle vecchie glorie. L’Academy ha cresciuto ottimi giocatori in cui lo spirito Munster è ancora vivo e sanguigno – come Peter O’Mahony, Keith Earls, Billy Holland, Dave Kilckoyne e Conor Murray – ma l’adattamento a questo nuovo rugby più di movimento, diverso da quello a cui sono abituati da quelle parti, fatto di gioco diretto, avanzante con le fasi statiche e di tanto uso del piede non è stato indolore.

Negli ultimi anni, fortunatamente, è incominciata una risalita nelle gerarchie europee, con due semifinali raggiunte nelle ultime due stagioni.

Questo è frutto degli investimenti messi in campo dalla società. La costruzione nel 2017 dell’High Performance Centre a Limerick, necessario per adeguarsi agli standard del professionismo, è stato il primo passo. L’ingaggio di un coaching staff di assoluto livello guidato da Johann van Graan, succeduto a Rassie Erasmus, che annovera nomi importanti come Graham Rowntree e Stephen Larkham è un’altro step importante nella direzione giusta per riportare la provincia ai grandi livelli che merita. Infine un gruppo di giocatori in crescita, composto da star irlandesi (Murray, O’Mahony, Earls, Stander, Carbery), una solida base di giocatori autoctoni di ottima qualità (JJ Hanrahan, i fratelli Scannell, Jack O’Donoghue, John Ryan, Tommy O’Donnell , per citarne alcuni) e qualche innesto internazionale di altissimo livello (De Allende e Snyman su tutti).

Alla fine il fischio del treno, per Munster, è ancora lontano.

Almanacco dei momenti indimenticabili

Alcuni momenti legati al questa squadra sono entrati di diritto nella storia di questo sport, ne riportiamo alcuni per concludere questo breve omaggio alla squadra di Limerick.

Due momenti sono collegati agli All Blacks. Il primo è la famosa Haka di Munster, realizzata da Tipoki, Mafi, Howlett e Manning in risposta alla haka degli All Blacks, durante il tour del 2008, un momento unico per una partita unica, persa per un soffio 16-18 dagli uomini in rosso.

Il secondo è relativo all’omaggio dei Maori All Blacks a Anthony Foley, eseguito prima del match del 2016, con la deposizione a centrocampo, prima dell’haka, di una maglia recante le inziali AF poi regalata ai figli della leggenda di Munster.

Un altro momento topico risale al 2006, ultima partita del girone. Agli uomini in rosso serve una vittoria con bonus per passare il turno, unico ostacolo i Sale Sharks, corazzata inglese che può schierare giocatori del calibro di Jason Robinson, Marck Cueto, Charlie Hodgson, Andrew Sheridan, Jason White e Sebastien Chabal. È proprio quest’ultimo, su un restart, vittima della furia del pack in rosso, guidato da O’Callaghan e O’Connell, che imprime con questa giocata la sua impronta sulla partita.

Infine uno dei momenti più incredibili di sempre. Siamo nel 2011,  gli avversari sono i Northampton Saints, reduci dalla finale di Coppa dell’anno precedente.  Munster inizia ad accusare il declino, molti dei senatori si sono ritirati o sono vicini al finale della propria carriera, ma lo spirito è sempre lo stesso.
Mancano due minuti al fischio finale, la squadra è sotto di un solo punto  ma sta faticando dall’inizio.
Le speranze sembrano ridotte al lumicino, ma il motto della squadra recita “To the brave and faithful nothing is impossible”. E così è.
Gli uomini in rosso continuano ad attaccare, nonostante l’avanzamento minimo, per 40 fasi, sapendo che al momento giusto il loro nocchiere saprà trovare il vento giusto. Chi guida la nave, in questa partita, è un certo Ronan O’Gara e il finale, si può dire, è scontato.