Il rugby non è uno sport democratico.

Il suo bello è anche questo.

L’analisi della seconda giornata potrebbe anche concludersi qui, perchè i risultati delle tre partite rispecchiano l’assioma fondamentale di questo sport: vince chi si dimostra più forte negli ottanta minuti, a prescindere da contesti e pronostici – magari anche sfavorevoli.

Consistenza, confidenza, preparazione e organizzazione sono fattori chiave, aghi di una bilancia ovale spesso scontati nel decidere chi prevarrà sull’avversario e, di conseguenza, troppo sinceri per la nostra Nazionale contro i cugini d’Oltralpe.

È stata un’Italia a corrente alternata, passata dai primi venti minuti in completa balia di una Francia partita con l’acceleratore a tavoletta, a un sensibile miglioramento di gioco e convinzioni nella seconda parte della partita, quando – doveroso precisare – i galletti hanno lasciato agli azzurri lo sviluppo del gioco di una partita messa ormai in ghiacciaia. All’ottima conferma di Canna nel ruolo di primo centro e Budd in mezzo alla mischia, ritroviamo il Minozzi dinamico visto nelle ultime uscite con la maglia giallonera degli Wasps e una terza linea più solida e in grado di dare maggiore sicurezza – non ancora sufficiente – alla squadra nelle fasi statiche. 
L’altro lato della medaglia è, per contro, quasi inspiegabile: un costante ed evidentissimo ritardo nel sostegno ha praticamente annullato lo scontro nei breakdown, rendendo la maggior parte dei punti d’incontro un facile esercizio per i fisici imponenti degli avanti transalpini e restituendo il ritratto di una squadra poco dinamica e impreparata al confronto con le difese impetuose.

La Francia, dal canto suo, ha svolto il compitino con la supponenza tipica del primo della classe che è bravo e si impegna solo quando ne ha voglia. La spettacolare coppia di mediani Dupont/Serin – probabilmente la migliore combinazione titolare/riserva di tutto il campionato e l’unica in grado di confrontarsi a livello mondiale con il duo sudafricano De Klerk/Reinach – ha dettato i ritmi con le caratteristiche tipiche dei suoi due primi violini, tanto istintivo e reattivo il primo quanto elegante e agile il secondo. Alldritt ancora una volta migliore in campo, di gran lunga primo in metri fatti – 149 in 20 carries – e terzo nel numero di placcaggi totali (18) dietro al compagno di squadra Le Roux (19) e al nostro solito, favoloso, Polledri (25), prossimo capitano annunciato.
Non sono mancati errori dettati dalla poca concentrazione, ma sarà interessante vedere come si comporteranno fuori dalle mura amiche quando la Marsigliese risuonerà in maniera ben diversa nell’eco del Principality Stadium di Cardiff.

La bilancia pende in favore della squadra di casa anche nella prima partita di sabato, dove il pubblico dell’Aviva Stadium di Dublino assiste a una partita molto fisica e aspra ma non sorprendente, in linea con l’andamento non democratico del vento.

L’Irlanda si è dimostrata, ancora una volta, la squadra più solida del torneo, che ha puntato sulle certezze e ha saputo implementare nel suo gioco l’importante sviluppo fatto dai club dei talenti inespressi a pieno negli ultimi anni. Primo fra tutti, quel Jordan Larmour che ha finalmente deciso di cucire sulla sua schiena il numero 15 in maniera definitiva, raccogliendo la pesante eredità di Rob Kearney grazie ai suoi imprevedibili cambi di passo e a una velocità da vero fuoriclasse. Sexton, solito metronomo con una piccola macchia – invisibile – sul primo piazzato della partita, è l’insostituibile mediano di una squadra ben rodata che ha nella sola età media non bassissima l’unico punto a sfavore nei prossimi anni, anche dal punto di vista atletico.

Dall’altra parte del campo, la più grossa delusione del weekend: un Galles deludente e spento, con molti nervi scoperti.
La mischia, attenta nelle touches ma non pervenuta in fase dinamica, ha concesso troppo e solo nella meta realizzata negli ultimi minuti ha saputo organizzarsi come si deve. Le due mete irlandesi realizzate vicino ai pali, costruite da prime fasi e finalizzate dal lavoro costante degli uomini pesanti raccontano molto, ma non tutto.
Per concludere la descrizione – e non essere ingiusti nell’additare colpe eccessive al pack gallese – bisogna sottolineare il reale problema di questo Galles, una chiara mancanza di imprevedibilità e dinamismo, figlia di infortuni e scelte tecniche. Biggar è in sostanza l’unico elemento di questa truppa in grado di cambiare ritmo e dare folate di fantasia, in grado di rovesciare il momentum del match. Parkes sarebbe un giocatore molto migliore di quello visto finora e Halfpenny non è mai sembrato realmente capace di vibrare alla sua solita frequenza, nè di tenere il ritmo con le altre corde dell’attacco. Williams, pur avendo marcato la meta del provvisorio sorpasso, non ha inciso come il suo rivale di ruolo Gareth Davies – entrato nell’ultima mezz’ora – ha fatto negli anni passati. Gli infortuni han fatto il resto, lasciando ai box Anscombe, Patchell e Williams in mediana – con Biggar che dovrà rientrare da un colpo alla testa che lo ha costretto ad abbandonare il campo anzitempo – e due ottimi elementi di caratura internazionale come Liam Williams e Jonathan Davies.

Il rugby non è uno sport democratico, atto terzo e conclusivo.

Il ciclone Ciara, investito tutto il territorio scozzese, ha approfittato dell’occasione per andare a vedere la partita contro l’Inghilterra con la compagnia di fortissime raffiche di vento e una pioggia incessante, regalandoci una partita dal sapore antico – in perfetta sintonia con la grande tradizione della Calcutta Cup –  ma non tra le più spettacolari mai viste. 

Gioco incatenato alla costanza e alla precisione – molto spesso mancata – dei calci, rivelatisi una buona strategia di guadagno territoriale solo in caso di traiettorie tese, al di sotto della quota di influenza del forte vento. Heinz in giornata no al piede, molto meglio – stavolta – il subentrato Youngs a cui la panchina sembra aver chiarito e messo in riga le idee; bene Farrell, condizionato nelle trasformazioni dal meteo ma ottimo per gioco difensivo, placcaggi e gestione della palla.

Decisamente meno bene l’altro capitano di giornata Hogg, sul cui braccio pesa sempre di più una fascia che lo imbriglia in una zona d’ombra di poca serenità e concentrazione (la meta annullata non senza un pizzico di fortuna – poi comunque realizzata in ripartenza due minuti dopo – ne è chiaro segnale), lontano dall’essere il faro che serve a questo XV. Molto bene Hastings che si rivela ancora una volta un’ottimo 10, conferma fondamentale dopo l’ennesimo capitolo della querelle tra Townsend e Russell, ormai definitivamente allontanato dal gruppo dei cardi. Alla fine ha vinto la squadra più forte mentalmente e fisicamente più pronta; la scelta di coach Eddie Jones di portare una prima linea in più in panchina – trasformata in un 6+2 – ha pagato con una squadra più fresca nella parte cruciale del match, quella finale. 
Utile ai fini di classifica, ma brutta scelta scozzese – ancor di più se fatta davanti al proprio pubblico – di accontentarsi del punto difensivo, calciando il pallone lontano dai propri 22 nel minuto finale di partita e consentendo a Ford di porre termine alla disputa.

Come consuetudine, chiudiamo con le note – nonostante i risultati – positive di U20 e Italdonne. I primi hanno attuato le direttive di Fabio Roselli con un primo tempo da incorniciare, superati solo nel finale dai due volte campioni del mondo di categoria. Un po’ meno bene le ragazze, sempre sotto nel punteggio fin dalla prima meta francese di Forlani, ma capaci di rimanere attaccate al ritmo partita. Entrambe le squadre pagano un risultato troppo pesante rispetto a quanto mostrato sul campo di gioco, ma sarà compito dei due coach trarre insegnamenti e nuove strategie da queste sconfitte.